dagli appunti di viaggio di don Enrico Rossi, maggio 1938:
«Nel pomeriggio S.E. Ermini, don Fazi, io ed Achille, il maggiordomo dell'Episcopio fabrianese, saliti sull'auto, prendemmo la via per la valle ubertosa di Albacina eppoi su, su per una magnifica strada snodantesi come lunga serpe bianca sulle scogliere del monte. Giunti sulla vetta scendiamo di macchina perché una lunga processione di cappe, di zitelle, di popolo c'è venuta incontro al canto di inni e di salmi. Prima di arrivare alla chiesa rasentiamo in un bel laghetto di acqua cerulea.
Il sereno era di cobalto, neanco una nuvolina, l'aria leggiera e un pochino frizzante, il terreno brullo nonostante l'inoltrata primavera. Eccoci a Poggio San Romualdo. L'antica Porcarella ha mutato il suo nome in quello di Poggio per decreto reale del 17 febbraio 1931. È a 930 metri dal livello del mare. A quattro chilometri, a volo d'aria, dal Monte San Vicino alto metri 1485, che ha ancora qualche bianco brandello del suo manto invernale. Arrampicate a levante su scogli immani, sono una ventina di case tutte a pietra locale, alzate a dispetto ed in barba a tutte le leggi di architettura.
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Start: Albacina
Finish: Porcarella
Distance: 8.5 km
Elev. Gain: 650 m
Avg Grade: 7.5%
Max Grade: 12%
Min Elev: 280 m
Max Elev: 930 m
Climb Category: 1
Valid for:
[Agg.to 30/12/2024 - 1°ed. 30/10/2011] Superato il paese di Albacina, dopo la piazzetta con il circolo Fenalc, la stessa "magnifica strada" di cento anni fa, una lunga serpe bianca snodantesi sulle scogliere del monte, si impenna in modo inconfondibile. C'è anche una scorciatoia (vivamente sconsigliata) che attraversa il paese antico e la sua bella piazza: pendenze oltre il 15%, in pavé per giunta.
La Porcarella, come la chiaman tutti, dall'antico nome dell'antico villaggio posto sul poggio è, probabilmente, la salita con più tornanti (15 in tutto) delle Marche.
La salita è sempre molto panoramica, ma la parte più suggestiva è quella dopo il km 5, dove inizia una serie serrata di 10 tornanti che, con le dovute proporzioni, ricorda le Alpi. Peccato solo che le curve non siano numerate come sul versante opposto.
La pendenza rimane sempre costante di poco al di sopra del 7% con punte massime (si dice addirittura del 13%, ma a me sembra un po' troppo) nelle curve in uscita da Albacina e sul primo lunghissimo drittone.
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e sul primo lunghissimo drittone è meglio non esagerare |
Tratti per respirare un po' non ne ricordo. Secondo uno, che su questa salita non ci ha mai capito niente, è meglio non esagerare nei primi 2 km (che sono i più duri) e nel tratto compreso tra i km 4-5. Superati questi passaggi, quando inizia la sequenza dei tornanti, la pendenza scema progressivamente ed è importante essersi tenuti da parte un po' di energia, perché nel chilometro finale si riesce a far velocità.
E' molto difficile tenere il conto dei tornanti. Più volte sono rimasto ingannato e mi sono ritrovato davanti un'inauspicata coppia di laccetti.
Per dare dei punti di riferimento, quando appaiono in lontananza le antenne del Monte Maltempo siete al tornante 12, cioè resta ancora da fare uno zig-zag. L'ultima curva che immette sul rettilineo finale arriva parecchie centinaia di metri dopo il tornante 14, ma già dal tornante si possono buttare giù due denti, ché la pendenza è ormai calata. La curva 15 immette sui prati sommitali, riappaiono le antenne e, in men che non si dica, si è già oltre il cartello che segna de facto la fine della salita.
Si possono riprendere le parole di don Enrico, il paese non è mai stato bello, ma era antico. Oggi non è nell'uno nell'altro, anzi, forse non è più nemmeno un paese, ché di residenti ne sono rimasti davvero pochi (30). Ma a quasi cento anni dal regio decreto che ne ha cambiato il nome...
"...la località ha tutte le ragioni per non ismentíre coi fatti l'antico titolo. Tra casa e casa si vedono straducole con pietre buttate là senza ordine di sorta, ingombre per ogni verso di letame et alia huiusmodi. Non sono entrato in alcuna casa, ma da quanto si scorge dall'esterno già s’arguisce abbastanza essere talune abitazioni da trogloditi, e la vita familare svolgersi tra pareti affumicate, pavimenti sconnessi, stanze ristrette e per nulla igieniche. Ogni buco a pianterreno rigurgita di pecore e di majali color negrofumo, che belano e grugniscono tra i fessi delle porte preistoriche. Esala qui un fetore acre che ne fa recedere. Fortunatamente il vento, che vi domina sovrano, è il grande spazzino dei miasmi che vi si diffondono. I bambini li vedete mocciosi, seminudi, perfettamente scalzi, nonostante il freddo e la neve che hanno attorno. Sono gli stessi abitanti che, guardando le loro misere condizioni di vita si qualificano gli abissini d'Italia. E non hanno il torto! (...)
Scordavo di ricordare un altro punto dì contatto con gli abissini. Hanno un passo concitato, più che camminare sarebbe per noi una corsa, li vedete lontano e in pochi minuti li trovate davanti al naso."
Sarà per la posizione baricentrica all'interno della Provincia di Ancona, per la vicinanza alla superstrada, sarà per i tornanti o per la notorietà dei prati che sono stati il teatro della corsa di rallycross con in palio la "Dune Buggy rossa con cappottina gialla" nel film ...altrimenti ci arrabbiamo!, pare che tutti adorino questa salita; io non tanto, perché su di essa ho preso fin troppe bastonate. Ma al di là delle questioni personali, la salita merita una visita.
Infatti, quando la Tirreno Adriatico 2015 è passata di qui, sulle rampe della Porcarella erano assiepati migliaia di ciclisti provenienti da tutto il centro Italia-
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tornante #3 dopo due infiniti drittoni |
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Quota 500 il primo tornante della serie e Rocchetta sulla parte opposta della valle |
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Il sereno era di cobalto, neanco una nuvolina, l'aria leggiera e un pochino frizzante, il terreno brullo nonostante l'inoltrata primavera |
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Una nuvolina, l'aria leggiera e non si vedeva una...
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È a 930 metri dal livello del mare. A quattro chilometri, a volo d'aria, dal Monte San Vicino alto metri 1485, che ha ancora qualche bianco brandello del suo manto invernale |
Riporto in 'embed' anche il segmento migliore su Strava. Sul noto social network per ciclisti ci sono una miriade di segmenti per Poggio San Romualdo e Porcarella; alcuni iniziano da Borgo Tufico, altri da Cerreto d'Esi. Questo mi sembra il più sensato: non solo parte dopo la confluenza delle due suddette strade e, quindi, è valido per tutti i ciclisti che arrivano ad Albacina sia che provengano da nord sia da sud, ma il segmento ha il pregio di far iniziare la registrazione dopo la strada con la fontanella (gelida e consigliatissima). Su questo segmento insomma, quelli come me che non mancano mai di riempire le borracce alla fonte non partono già con quattro minuti di ritardo.
Vincenzo Nibali e Giulio Pellizzari ai primi posti sono un bel punto di riferimento.
Appendice
Ecco la trascrizione completa del manoscritto del resoconto del viaggio di don Enrico Rossi a "Poggio San Romualdo di Fabriano (Porcella, Porcarella)" a cura di Corrado Leonardi in Proposte e ricerche n. 51 (2003)
«Sul chiudersi dell'aprile di quest'anno, e nell'istesso giorno, mi arrivarono due lettere, l'una del Vescovo di Fabriano, l'altra del mio Ordinario. Tutte e due mi invitavano a Poggio San Romualdo per rincalzo del dotto Pievano di Offagna, don Mario Fazi chiamato a dare le SS. Missioni a quella popolazione montanara. Capii bene come a mons. Ermini avessero fatto prendere un bel granchio rivolgendosi a me; glielo feci capire, ciononostante dovetti chinare il capo all'obbedienza. Nel mezzogiorno dell'otto maggio (domenica) ero a Fabriano. Nel pomeriggio S.E. Ermini, don Fazi, io ed Achille, il maggiordomo dell'Episcopio fabrianese, saliti sull'auto, prendemmo la via per la valle ubertosa di Albacina eppoi su, su per una magnifica strada snodantesi come lunga serpe bianca sulle scogliere del monte. Giunti sulla vetta scendiamo di macchina perché una lunga processione di cappe, di zitelle, di popolo c'è venuta incontro al canto di inni e di salmi.
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Parlano poco e sommesso, tanto che per capirli ci vogliono buoni timpani; la direi una stirpe o colonia greca venuta dalla Lacoonia.
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Nella ricognizione per la Tirreno Adriatico Alessandro mi raccontava che anche i guerriglieri afgani, i pastori del Pamir si mettono volentieri in posa davanti a una macchina fotografica e a una richiesta gentile. Fotografare gli abitanti di Vigne e di Porcarella con il loro consenso è stato impossibile. sono state immortalate solo le donne perché gli uomini, tutti intenti a spaccare la legna, erano armati. |
Prima di arrivare alla chiesa rasentiamo in un bel laghetto di acqua cerulea. Il sereno era di cobalto, neanco una nuvolina, l'aria leggiera e un pochino frizzante, il terreno brullo nonostante l'inoltrata primavera. Eccoci a Poggio San Romualdo. L'antica Porcarella ha mutato il suo nome in quello di Poggio per decreto reale del 17 febbraio 1931. È a 930 metri dal livello del mare. A quattro chilometri, a volo d'aria, dal Monte San Vicino alto metri 1485, che ha ancora qualche bianco brandello del suo manto invernale. Arrampicate a levante su scogli immani, sono una ventina di case tutte a pietra locale, alzate a dispetto ed in barba a tutte le leggi di architettura.
Sebbene la località abbia cambiato nome, ha tutte le ragioni per non ismentíre coi fatti l'antico titolo. Tra casa e casa si vedono straducole con pietre buttate là senza ordine di sorta, ingombre per ogni verso di letame et alia huiusmodi. Non sono entrato in alcuna casa, ma da quanto si scorge dall'esterno già s’arguisce abbastanza essere talune abitazioni da trogloditi, e la vita familare svolgersi tra pareti affumicate, pavimenti sconnessi, stanze ristrette e per nulla igieniche. Ogni buco a pianterreno rigurgita di pecore e di majali color negrofumo, che belano e grugniscono tra i fessi delle porte preistoriche. Esala qui un fetore acre che ne fa recedere. Fortunatamente il vento, che vi domina sovrano, è il grande spazzino dei miasmi che vi si diffondono. I bambini li vedete mocciosi, seminudi, perfettamente scalzi, nonostante il freddo e la neve che hanno attorno. Sono gli stessi abitanti che, guardando le loro misere condizioni di vita si qualificano gli abissini d'Italia. E non hanno il torto!
L'aria elastica ed ossigenata di questi luoghi, sebbene non ingrassi, fa sì peraltro che la popolazione vi goda buona salute e longevità, e vi attiri quassù qualche forestiero durante l'estate. Il suolo limitrofo da tre parti è pianeggiante, ma brullo e sassoso, a sud-est si alzano scogliere a sega e a punta; poi precipizi ed anfratti con qualche pianta in fondo. Fino a pochi anni fa i lupi desolavano questi luoghi, una vera maledizione per questa povera gente che ogni tanto vedevano azzannate le loro pecore, unica risorsa. Non trovando sufficiente rimedio a tanto guasto nella bocca dei fucili, hanno dovuto ricorrere a mezzi estremi. Hanno uccisa qualche pecora con la stricnina, lasciandola in pasto ai lupi. Da allora la trista genia sparita del tutto.
Fin dai remotissimi tempi codesti luoghi erano sotto l'alto dominio dei monaci camaldolesi, i quali poi davano in enfiteusi alle antiche famiglie originarie o alle comunità terre e boschi dietro lo sborso di date somme di denaro ogni qual volta si facevano le rinnovazioni enfiteutiche e pagando ogni anno un canone al monastero. Quando e per quali ragioni la popolazione perdette il jus lignandi e lo jus pascendi non potrei dirlo, soltanto trovo che oggi, fatta eccezione di poche famiglie possidenti, tutte le altre vivono come a mezzadria. Il vero padrone di quasi tutti terreni, case, boschi è un certo marchese Serafini di Roma e la povera gente vive sulla metà del fruttato dei bestiami di proprietà dello stesso Serafini. I pochi terreni coltivabili danno molte patate, abbastanza di orzola con cui ingrassano i loro suini, mancando del tutto la ghianda. Durante le lunghe invernate queste genti non hanno altro nutrimento se non di patate e di polenta e non sempre condita. Se, come ho detto, i bambini son lerci e scalzi, i grandi all'incontro portano scarpe pesanti con larghe bollette e fondo orlato di ferro. Il vestito dei uomini nei dì feriali ha toppe sopra toppe, le donne di qualunque età hanno legato alla nuca un fazzoletto più o meno scolorito, gonnelle corte e ultra semplici, non credo che quassù sia mai giunto un figurino della moda. Parlano poco e sommesso, tanto che per capirli ci vogliono buoni timpani; la direi una stirpe o colonia greca venuta dalla Lacoonia. Eppure non ci si sente vernacolo affatto, parlano il pretto italiano con bell'accento ed hanno il sì toscano. La sola cadenza che vi danno li rende difficili a capirli. Di buon mattino, tranne i piccoli e qualche rara donna, sono tutti fuori di casa pel pascolo: sembra una processione compatta vedere i branchi di pecorine che escono dal chiuso l'uno dietro l'altro e dietro a queste lunga teoria di majali dalla veste tutta nera. Caratteristico è il saluto sonoro che fa ai partenti pel pascolo un somaro bianco per antico pelo, unico del genere a Poggio, quale potestà di tutta la cittadinanza pecorina e suina! È sempre lui, col suo solito canto, che dà il bentornato alle mandre, che ritornano alle stalle poco prima del mezzogiorno! La popolazione civile dell'intera parrocchia non arriva a 450 persone, divise in due frazioni, questa di Porcarella e l'altra di Vigne. L'ultima dista quasi quattro chilometri dalla prima, composta in maggioranza di piccoli possidenti che una lamentano la troppa lontananza dalla chiesa parrocchiale e reclamano almeno piccola cappellina per i loro vecchi. Scordavo di ricordare un altro punto dì contatto con gli abissini. Hanno un passo concitato, più che camminare sarebbe per noi una corsa, li vedete lontano e in pochi minuti li trovate davanti al naso. La gioventù d'ambo i sessi tiene molto alla serietà della vita ed alla morigeratezza.
In quanto a religione sono, direi quasi, primitivi, poco proclivi agli esercizi della pietà cristiana; gli ha mancato per molti anni la guida e il maestro. Oggi mons. Ermini ha dato a questo popolo un parroco giovanissimo secondo il cuore di Dio: don Antonio Marinelli.
Tra gli abitanti di Poggio, ajunt, c'è un protestante o meglio un ascritto a qualche setta protestante. Parlano di certe sedute, nella casa di lui, donde n'escono gli intervenuti tremanti e sbigottiti. Io direi (mi si perdoni la temerità) non trattarsi di in protestante nel vero senso della parola, ma di un ascritto a qualche congrega di Spiritismo... Nei giorni che ci siamo trattenuti a Poggio, codesto messere, padre di famiglia e piccolo possidente del luogo, si eclissava ante lucem e ne ritornava pel buio... Ed ora due parole sulle chiese di quassù. Sul punto più alto dell'abitato sorge la vecchia chiesa parrocchiale, o meglio due chiese l'una sull'altra sovrapposte. Quella di sopra, la più recente, ha vissuto appena due secoli. Ha annessa la canonica ristretta sì, ma pur discreta per un povero parroco montanaro, ma la chiesa, ora dissacrata, è un vero capannone basso, goffo, lurido. La sottostante, come incassata tra scogli, è a volta di pietra, voleva essere romanica, e, nella sua semplicità vetusta, dà a capire di avere sette secoli in groppa (fu edificata nel 1251). A destra tra lo spigolo e il minuscolo finestrino si vede ancora (in parte rovinato) l'affresco trecentesco con la figura frontale di un vescovo con mitria e pastorale. Osservati in questi giorni gli affreschi di Val di Castro, m'ha sembrato vedervi la stessa mano maestra. Si tratta d'un artista di prim'ordine e non è da escludersi possa essere stato un monaco camaldolese del sec. XIV o XV. Nel 1936 mons. Luigi Ermini, consultando tutto il suo cuore paterno a pro di quest'abbandonata popolazione, le volle dare una nuova e magnifica chiesa. È degna di una città. Alzata lapidibus quadris sull'altipiano, ha la facciata a mezzogiorno semplice sì ma tanto decorosa; l'interno è a travatura bene ordinata ed armonizzante; misura di lunghezza metri 19, larga dieci e lateralmente alta nove metri. Le decorazioni delle pareti plaudono al bravo artista fabrianese Alessandro Micheli e fratello, che vi hanno condotto il cornicione, colonne e fregi così ben fatti e veri da trarre in inganno anche i più esperti in prospettiva; bisogna proprio toccarli per persuadersi che non siano a rilievo. L'altare è molto grande, all'occhio pare tozzo, forse anche il colore rossastro datogli ne accresce la pesantezza. Vi domina sopra un grande Tabernacolo dorato, e più in alto il quadro in tela della Beata Vergine, San Romualdo e Sant'Antonio. Molte panche nuove nel corpo della chiesa, in quelle di destra vanno solo gli uomini mentre le altre di sinistra sono riservate al devoto femmineo sesso. Codesta usanza l'ho osservata in qualche altra chiesa, credo che qui si di antica data.
Sono sopra le centoventimila spese da mons. Vescovo per questa bella fabbrica, di cui se ne fa memoria nella lapide marmorea collocatavi quando c'eravamo noi. La canonica annessa, eretta a spese della Santa Sede, è un gioiello. Il giovane capomastro fabrianese vi ha messo, come nella fabbrica della chiesa, intera intera la sua non ordinaria bravura, tutto ha consultato: igiene, ordine, proprietà, solidità, sicurezza; nessuna onesta comodità vi manca.
Sul campanile si vedono due campane; la piccola viene dalla parrocchia di Moscano, fusa in Ancona nel 1842 da Giuseppe De Giorgi; porta inscritto: «Olim patrua jam germinavit providentia Bioni». L'altra è storica, sebbene vi si conto poco più di due secoli. Vi si legge: A. D. MCCVII ET DENUO MDCCVII - CASTRI ET SS. URBANI ET BLASI - D. PAULO ANTONIO MASTRIO ABB.
È la prima volta che vedo questi luoghi; sono perfettamente digiuno di storia fabrianese; non dovrei pertanto fornire spiegazioni e tentare d'invadere un campo del tutto sconosciuto. Pur tuttavia azzardo dirne quel che ne sento. Il bronzo, nel 1207 rottosi, dopo 500 anni viene fatto fondere da d. Paolo Antonio Mastrio, Abbate di Valdicastro e dei Santi Urbano e Biagio. Si dovrebbe dunque arguire che anche nel sec. XVIII v'erano i Camaldolesi a Valdicastro e che il loro abbate stendeva la sua giurisdizione sopra altri due eremitaggi vicini: quello dedicato a Sant'Urbano che poteva essere la chiesa della Porcarella eretta dopo il 1725 in Parrocchia e forse allora che l'agro Fabrianese fu staccato dalla diocesi di Camerino. L'altro eremitaggio forse sorgeva sul luogo stesso che fu testimonio del beato decesso del patriarca San Romualdo, quale oggi volgarmente si chiama "San Biagiolo".
Nel Medioevo i grandi cenobi avevano pure a non grande distanza dei luoghi dove si ritiravano alcuni di quei religiosi più perfetti e desiderosi della vita solitaria» (Il manoscritto prosegue con la descrizione della Val dì Castro)
Qui termina il testo riservato al "Viaggio a Poggio San Romualdo'', seguito, come Appendice, da quello più dolce a Val di Castro con il grosso fabbricato annerito dal tempo dell'antico cenobio camaldolese, nelle cui adiacenze morì San Romualdo.
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Proposte e ricerche. Rivista di storia economica e sociale.
An Italian Journal of Social and Economic History» è una rivista accademica di storia. Il gruppo dei fondatori (Sergio Anselmi, con la collaborazione di Renzo Paci, Ercole Sori e Bandino Giacomo Zenobi), cresciuto nel fecondo alveo dei
Quaderni storici delle Marche, creati da Alberto Caracciolo nel 1966 e divenuti
Quaderni storici nel 1970, dà vita a
Proposte e ricerche nel 1978.
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