La crono di Numana (2002)

La crono di Numana vede il ritorno da protagonista dell'americano. Bene Frigo e Pellizotti, si difende Casagrande E' Hamilton il signore del tempo Heppner difende la maglia rosa, avanza il canguro Evans

NUMANA. Tyler Hamilton, nella crono di Numana, si riprende con gli interessi il distacco subìto a San Giacomo. Infilando anche gli specialisti Gontchar (2) e Verbrugghe (4), nonché il fantastico canguro Evans e il tosto Gonzales. Infligge 59'' all'attesissimo Frigo, 1'51'' a Casagrande e... appena 2'32'' a Heppner, che salva la rosa per 48''. Stiamo dando i numeri, ma le guerre contro l'orologio contano i secondi come pallottole a segno. 

Se vogliamo metterla in termini di strategia, invece, diciamo che mentre il tedesco va per consunzione, il «vice» di Garzelli sembra avere una marcia in più su tutti: su Hamilton in salita e su Frigo a crono. Casagrande salva la pellaccia, ma scende di due posizioni in classifica e spera nelle montagne vere. Escartin? Non si lascia intimorire e tiene l'ottavo posto.

Buono anche Pellizotti, che per essere uno scalatore all'esordio... L'esordio di Popovych, invece, paga pegno al difetto di cilindrata: ci vuol tempo per diventare grandi anche tra i professionisti. Tappa per specialisti, quella di Numana. E tappa per la classifica. Un trentina di chilometri vallonati, con una partenza in salita da spezzare le gambe agli imprudenti (Casagrande ci va piano). 

Il risultato ci consegna un Frigo meno strapotente del previsto, ma lui spiega di essere caduto in allenamento e di aver picchiato un ginocchio. Hamilton torna in corsa ma, visto il distacco a San Giacomo, non sarà il fuoco d'un giorno? Casagrande si difende ma non quanto aveva promesso. Il re di giornata è l'australiano Cadel Evans, che sembra il Garzelli del 2000. E poi dici le coincidenze: uno che se ne va, uno che arriva sulla scena, sempre con il marchio Mapei. La gente ci crede e no. Ma, dimenticati Garzelli e Simoni, c'è sempre la speranza di un campione pulito. Abbiamo detto speranza? Meglio «illusione». In fondo la bravura sta spesso nel «mascherare», non nel «non prendere». Sta nell'evitare quei «rabbocchi in corsa» che si rivelano spesso fatali. La farmacia va avanti, l'antidsping ci arriva sempre dopo. E non è cattiveria, non è voglia di massacrare questo sport di fatica e di sacrifici. L'unico, popolare, che non fa pagare il biglietto e che va dagli spettatori invece di attenderli in uno stadio o in un palazzetto. La questione resta aperta. E nonostante le contraddizioni dei regolamenti internazionali balzate agli occhi in questi giorni, nessuno ci mette mano. Perché? Tante gare, tanti soldini nella casse Uci; meno gare, meno bisogno di doparsi, tanta salute guadagnata dai corridori. Ma meno soldini. Verbruggen fa il Gattopardo. E via, pedalare. Di tutto questo la gente vede solo la siringa. Vedendo sfrecciare i ciclisti sull'anello della cronometro, gli spettatori, per la verità sempre meno (ma è domenica, siamo in riviera e c'è un bel sole da abbronzatura), sussurrano: «Chissà cos'ha preso quello, per andare così». Peccato che non sia la corsa dei cani, peccato che dietro a ognuno di questi ragazzi ci sia una famiglia cui, sì, fanno comodo i soldi, ma che li vorrebbe sani e vivi il più a lungo possibile.

Quando (il Giro è gara protetta dall'Authority, anche dagli scioperi Rai) di Bulbarelli raccontare che la moglie di questo o di quello è incinta, ti vengono i brividi: gli ormoni sintetici sono un'incognita. Solo l'Adriatico (acqua e sale, come fiale che Frigo aveva comprato credendole doping e gli costarono il licenziamento «bellafigura» dell'ignara Fassa) sorride beato al Giro degli sconquassi. 

Eppure è una tappa «tranquilla», le agenzie non battono i controlli medici tanto attesi, negli alberghi non sono arrivati i Nas. Eppure si parla già della giornata di riposo (con trasferta-monstre) e delle salite che attendono il Giro fra tre giorni. Eppure il Giro c'è. Ma sempre con il dente levato dall'inviato Antonio Frigo

Commenti